martedì 8 novembre 2011

Think Sugar

Quando sabato abbiamo finito la nostra prima torta decorata con più di 200 fiori, dopo cinque ore di concentrazione e divertimento mi sono resa conto di che percorsi strani ci fa intraprendere la vita. A volte, un solo evento è capace di condizionarti e rivoluzionarti l’esistenza. A me è successo così.
 Cinque anni fa, quando rimasi incinta del mio primo figlio, giocavo a calcio, alternavo gli scarpini al tacco 12, facevo la giornalista sportiva e non avevo la più pallida idea di come si accendesse un forno.
Il piccolo principe, arrivò con due mesi di anticipo. Dico due. Non qualche giorno o qualche settimana. La tabella di marcia della mia gravidanza, quando mi praticarono un cesareo di urgenza una mattina di aprile col sole, diceva che mancavano dieci settimane. Quando lo vidi per la prima volta, fu in terapia intensiva. Con due tubicini al naso per aiutarlo a respirare. Troppo piccolo per venire al mondo ma incredibilmente fantastico ai miei occhi. Ecco, io lo amavo con gli occhi. E con le mani che dagli oblò della culletta termica mi permettevano di dirgli che io c’ero. Non poteva sentire il mio odore. Ma la mia voce si. E sussurravo qualche melodia anche se avevo un filo di voce che rischiava di spezzarsi ogni  volta in pianto. Ma io no. Non piangevo mai. Dio Santo. Avrei dovuto.

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